Natale con i tuoi!
Questa non è una favola, è vita vera. Anche se l’inizio può dare questa sensazione. Nonostante molti non siano d’accordo, io continuo a ricordare il passato che, per certi versi, meno male, non tornerà più. Dunque. Tanti, tanti, tanti anni fa le feste di Natale, come ricorderanno tutti quelli che hanno una certa età, si vivevano fra una giocata a tombola con i parenti e vicini di casa e le funzioni in chiesa che iniziavano con la festa del’Immacolata, giorno 8 di dicembre. Il successivo giorno 13, santa Lucia, si facevano i presepi. Queste erano le tappe di avvicinamento alla nascita di Gesù. La novena dell’Immacolata, quindi, chiamava i credenti in chiesa. Peraltro, i ritmi di ogni giorno venivano scanditi dai rintocchi delle campane, a maggior ragione quando si trattava di richiami religiosi. Qualche anno prima dei tanti, tanti anni fa, il rito iniziava la mattina presto con una levataccia, ma le chiese erano piene di ragazzini intirizziti, con le gambine color violetto dal freddo pungente, trascinati dalle mamme ad assistere alle funzioni. All’epoca si usavano pantaloncini molto corti, si risparmiava in stoffa, perché i maschietti dovevano “ntostare”. Poi, con l’avvicinarsi della civiltà, anche i preti vedevano la necessità di svegliarsi un poco più tardi e le funzioni si spostarono verso sera. E fu in quel periodo che i ragazzi ed i giovinastri attendevano le ragazze all’uscita dalla chiesa per scatenare la guerra dei botti al cui interno era presente anche del fine brecciolino che poteva fare veramente male. Qualche volta hanno procurato qualche seria ferita con relativo ricovero. Ma chi se ne curava. Vuoi mettere il gusto di vedere saltare quelle ragazzine che, fra l’altro, ci stavano? Alla meglio, comunque, smagliavano le preziosissime calze che, all’epoca, non erano di facile acquisto. C’erano alcuni giovani “chiù sperti” che le bombette le facevano scoppiare schiacciandole sotto i tacchi delle scarpe, in mezzo al gruppo. Oggi, quei giovinastri hanno passato la mano ai loro figli che, bisogna riconoscerlo, hanno qualche difficoltà ad emulare i propri genitori. Un poco di civiltà ha raggiunto anche i nostri luoghi e non si spara più con quella intensità né con quegli ordigni. Con il tempo, quei giovinastri cominciarono a fare i conti con il “cosa farò domani” ed emigrarono in Svizzera. Da quel momento quei botti divennero un ricordo, per alcuni anche tenero: uno dei tanti. Legato a quei momenti di scellerata spensieratezza. Oggi, invece, sono i ricordi tristi passati ad un Natale lontano da casa a tornare alla memoria. E quanta tenerezza, quanta malinconia, quanti rimpianti sono legati a quei giorni. Peraltro, sono sempre i tempi andati a farsi rimpiangere. La giovinezza è passata ma alcuni momenti ritornano facendoci immaginare che tutto si è fermato a quel tempo, a quei luoghi. Purtroppo le cose sono cambiate anche dove si sono vissuti momenti indimenticabili di spensieratezza e allegria. Ho, fra gli altri, raccolto alcune confessioni dei giovani di allora legate a quei giorni di festa. “Era la vigilia ed abitavo a Zurigo con un mio paesano”, ritornano i toni tristi. La radio accesa era in perpetuo collegamento con Radio Italia. Diffondeva le strazianti canzoni napoletane ispirate al periodo natalizio che ci ricordavano la lontananza. Era musica struggente. Fra i tanti motivi che andavano in onda, malinconicamente sdraiati sul letto si ascoltava quella che l’emittente proponeva: la lettera dell’emigrante alla “cara madre” quando “sta pe venì Natale”. Si trattenevano a stento le lacrime, a stare lontani. Fino a quando ad Antonio, lo chiamiamo così quell’allora emigrante che vuole restare anonimo , non ce la fece più e scattò: “io vado a casa”, decise, rivolgendosi al compagno di stanza. “Vengo anch’io”, gli rispose l’amico. Fu un tutt’uno fra il pensare ed il partire. La cinquecento mordeva la strada ed anche se dava di tanto in tanto segni di sofferenza, al suo interno si respirava la felicità della decisione. “Partimmo che era sera inoltrata”, continua il racconto. Sul Gottardo la macchina arrancava, “sarebbe stato più veloce andare a piedi. Ma, ce la fece”. Ogni tanto bisognava fermarsi per far raffreddare il motore non abituato a velocità elevate (stiamo parlando di 100 all’ora, a tavoletta) e per lungo periodo ed immettere acqua nel radiatore. A Roseto, in provincia di Pescara, però, non ci fu più niente da fare. La eroica 500 andò in panne. Era la vigila di Natale e c’era solo un meccanico aperto che fece salti mortali per rimettere in moto la vettura. “Ripartimmo, sempre a tavoletta e sempre a 100 all’ora”. Poi, l’eroica ci portò fino a casa, nella sorpresa generale aprirono le porte di casa. Abbracci e baci. La stanchezza era passata in un attimo. Un veloce giro per bar per salutare gli amici e verificare che tutto era rimasto come prima. Con l’arrivo degli emigranti quei ritrovi si trasformavano in vere e proprie fumerie, si fumava gratis, e poi in quegli anni fumavano tutti. Cominciava la festa per cui si erano affrontati 1500 indimenticabili chilometri. La festa nel segno della tradizione: “Natale con i tuoi”. Auguri a tutti.
Fernando Durante