Commozione al Trinchese per la Shoah di Saccomanno
SHOAH, frammenti di una ballata è uno spettacolo teatrale organizzato dal Consiglio regionale della Puglia, prodotto da URA teatro, di e con Fabrizio Saccomanno e Redi Hasa. Il progetto parte con l’idea di raccontare la Shoah ai ragazzi nelle scuole, ma prende una piega molto diversa dal tradizionale spettacolo teatrale.
Saccomanno, interprete e autore dei testi, racconta, infatti, che, nello studiare a fondo le testimonianze, le analisi e la storia della grande tragedia, sentiva che “le parole andavano ad aggiungersi a tutta un’infinita letteratura senza nulla aggiungere” e che solo qualcosa di veramente efficace sarebbe riuscito a muovere una riflessione attiva da parte del pubblico. Il noto attore cerca, dunque, un linguaggio diverso e propone una nuova prospettiva da cui partire per cercare di comprendere le testimonianze dei sopravvissuti.
Lo spettacolo si articola in quattro brevi monologhi (da qui il titolo) in cui il dialogo tra parole e musica, composta ed eseguita magistralmente da Redi Hasa, è la costante. I quattro monologhi, ciascuno introdotto dalla voce del figlio di Saccomanno, raccontano storie originali, ma ispirate da testimonianze vere. I protagonisti sono bambini e adolescenti che offrono una testimonianza da cui traspare da una parte l’incapacità di comprendere tanto orrore e odio e dall’altra il primordiale istinto di sopravvivenza. Come scrive lo stesso Saccomanno, i protagonisti “non capirono allora quello che stavano vivendo e a distanza di tempo provano a dirselo e a dircelo in qualche modo”.
Il primo è ambientato in Ucraina nel 1942 ed è lo straziante e coinvolgente flusso di pensiero di un bambino scappato da un campo e rifugiatosi in un bosco, in cui crede fermamente di trovare i propri genitori. Sappiamo, storicamente, che molti bambini si nascosero proprio nei boschi e che alcuni riuscirono addirittura a sopravvivere per un intero anno nutrendosi di frutti selvatici. Ascoltare i possibili pensieri di uno di questi giovani ebrei dall’interpretazione coinvolgente di Saccomanno è un’esperienza davvero toccante.
Il secondo monologo, ambientato in Ungheria nel 1944, ripercorre, con uno stile circolare e a volte ossessivo, il processo di deportazione degli ungheresi. Il dialogo tra Saccomanno e Hasa è così efficace da permettere di immaginare in modo molto vivace la differenza tra l’inizio, con i colori e i rumori tipici dell’ambiente familiare, e la fine, con il silenzio sbigottito della folla che vede giungere i treni “bestiame”.
Il terzo monologo è ambientato, invece, in Polonia nel 1945. È il resoconto più crudelmente consapevole di un adolescente che percepisce acutamente gli orrori che lo circondano: ricorda le sensazioni nell’aver visto la madre e il fratello più piccolo per l’ultima volta e l’apatia provata vedendo per l’ultima volta il padre, verso la cui morte prova sollievo perché almeno ha smesso di soffrire.
Il quarto è ambientato in Italia nel 1946, quando ormai la guerra è finita ma gli animi sono tutt’altro che tranquilli. I protagonisti sono bambini diffidenti verso un mondo di adulti che li ha perseguitati senza alcun motivo: si stringono l’uno con l’altro, proteggendosi a vicenda perché, molto spesso, i bambini dimostrano di avere più empatia degli adulti.
I quattro monologhi sono legati l’uno con l’altro dalla costante presenza della musica e dalla straordinaria versatilità di Saccomanno, che è magnetico nonostante reciti seduto su un palco privo di scenografia anche perché non ne ha assolutamente bisogno.
L’interpretazione e la musica hanno fatto sì che il pubblico fosse trasportato completamente nei frammenti di queste vicende: è stato fin troppo facile dimenticare di essere al sicuro di un auditorium e non in un freddo bosco ucraino. Uno degli aspetti sicuramente più interessanti del progetto è la nuova prospettiva dalla quale la tragedia è raccontata, cioè quella di bambini di età e provenienza diversa che hanno testimoniato fasi diverse dell’Olocausto. Della Shoah, come scrive Saccomanno, “ci sono stati lasciati fiumi di parole” e “è giusto così”; tuttavia, per penetrare a fondo nelle coscienze dei ragazzi è necessario un approccio diverso che, nella sua schiettezza e crudezza, è tanto efficace da suscitare profonde reazioni emotive. Questo è necessario perché la Shoah non rappresenta un capitolo chiuso e superato della storia dell’umanità: molte Shoah avvengono e sono avvenute nel mondo. È compito dei giovani, dunque, guardare all’universalità della Shoah, che ancora oggi possiamo purtroppo riscontrare nella società, affinché la più grande tragedia dell’umanità non sia ripetuta nemmeno in piccola scala.
Benedetta Russetti