“Scappa – Get Out” L’orrore di essere un uomo nero in America
“Hai detto ai tuoi che sono nero?” chiede il fotografo Chris Washington (Daniel Kaluuya) che deve incontrare i genitori della fidanzata Rose Armitage (Allison Williams) per la prima volta. La fidanzata cerca di tranquillizzarlo; i genitori sono liberali democratici e avrebbero votato Obama una terza volta, non c’è niente da temere. Dopo una benvenuta affettuosa da parte della famiglia Armitage, Chris avverte un strano comportamento nei due domestici neri, che sembrano distanti, mentalmente neutralizzati e automi.
Il film Scappa – Get Out, diretto da Jordan Peele, è un horror distopico che recupera il carattere di denuncia politica tipico del genere (che però con il tempo avevamo visto mutare in una successione di franchise adolescenziali) con l’innovazione di mettere al centro della trama le paure dell’uomo nero americano. Una proposta audace da un regista che, cercando il consenso di una “minoranza” americana e con un piccolo budget, aveva poche ambizioni, sorprendendo la critica e il regista stesso il film è diventato ufficialmente il primo a segnare l’esordio di un regista e sceneggiatore afroamericano guadagnando oltre 100 milioni di dollari.
Jordan Peele è conosciuto negli Stati Uniti come un comico consacrato e nel suo programma televisivo sono predominanti le battute contro il privilegio sociale dei bianchi. Questa sua padronanza nella commedia è evidente all’interno del film, quando in una festa organizzata dai genitori della fidanzata Chris è vittima di microaggressioni da parte degli invitati, che approfittano ogni opportunità per toccare i muscoli di Chris senza permesso o segnalare come essere nero sia “di moda”. Perché la critica del regista è diretta contro la élite liberale: brave persone che pensano che l’elezione di Obama come presidente e la loro mente aperta abbiano risolto il razzismo, gli stereotipi che sono antagonisti nel film non sono più spaventosi ma risibili.
Le tendenze comiche presenti però tendono ad alleggerire il tono horror del film, che fallisce nel creare momenti di suspense e sembra una parodia di se stesso. Il genio del film si trova nella satira, che si dimostra di nuovo una volta come un strumento efficace nel presentare situazioni tabù, così come la proverbiale violenza di “Django Unchained” di Tarantino dimostrò di essere più efficace nel raffigurare la perversità americana rispetto al moralista “12 anni schiavo” di McQueen. L’innovazione di Peele risiede nel contestualizzare la storia non più in un passato schiavista evocato senza nostalgia ma in una tensione razziale più attuale che mai nella era di Donald Trump e il movimento Black Lives Matter. «Volevo fare qualcosa che non avevo mai visto prima» ha dichiarato Peele e nel processo ha creato uno degli horror più apertamente significativi della decade, inaugurando una piattaforma per nuove voci e nuove prospettive nell’esplorazione delle paure razziali nel cinema.