Castrignano dei Greci: Don Luigi Ciotti cittadino onorario
Don Luigi Ciotti è cittadino onorario di Castrignano dei Greci. All’unanimità lo ha deciso il Consiglio comunale convocato ad hoc, nella sala di rappresentanza del Castello De’ Gualtieris, gremita all’inverosimile. Segno della percezione- da parte della città- di un evento importante. E tale è stato. Con l’emozione che- a tratti- ha fatto apparire le lacrime sul volto di qualche consigliere.
Ad aprire la seduta, com’è prassi, è stato il sindaco, Antonio Zacheo, che ha salutato l’ospite e rilevato proprio l’alta affluenza di popolo, “che- probabilmente- non si verificherà mai più per un Consiglio”. E’ toccato- poi- al promotore dell’iniziativa, l’assessore alla Cultura, Paolo Paticchio (presidente dell’Associazione “Terra di Fuoco Mediterrnea”, associata a Libera di don Ciotti), accogliere il sacerdote e presentare le motivazioni dell’importante riconoscimento. Senza dimenticare di mandare un sentito pensiero agli operai dell’Ilva di Taranto, in lotta per mantenere il posto di lavoro. Pensiero, fra l’altro, ripreso anche dal neo cittadino castrignanese, nel corso del suo successivo intervento.
Paticchio ha ricordato che il conferimento della cittadinanza al sacerdote rappresenta la sintesi di un percorso che don Ciotti ha iniziato nell’86 con il Gruppo Abele, proseguito con l’impegno nelle carceri minorili, attraversato le tossicodipendenze e giunto a “Libera”, l’associazione contro tutte le mafie, che opera dal 95, intorno alla quale ruotano 1.600 organizzazioni con analogo obiettivo. Ha ricordato il suo primo incontro con Ciotti- a Melpignano- nel 2005.
Ha passato la parola al neo Procuratore generale presso la Corte da’appello di Roma, il castrignanese, Antonio Maruccia, che ha rilevato l’importanza del momento per il paese che- con l’atto- si schiera affianco al prete per condurre una lotta comune contro le mafie, “don Ciotti ha inciso fortemente nella storia dell’Italia degli ultimi anni”. Ha ricordato che, grazie alle sue azioni ha contribuito all’approvazione della legge sulla confisca dei beni ai mafiosi. “Io mi onoro”, ha proseguito il magistrato, “ di essere un suo allievo di legalità e giustizia, non ricordo di aver vissuto momenti analoghi di gioia ed emozione”.
Poi, in un silenzio surreale ha preso la parola il commosso neoconcittadino per un atteso intervento che è stato una vera e propria lectio magistralis sui mali della nostra società. “Non è possibile che uno Stato conviva per 400 anni con la camorra e 150 con la mafia senza riuscire a debellarle, c’è qualcosa che va rivisto nel rapporto con il paese”, ha detto il sacerdote nel suo stile vibrante ed appassionato. “Oggi più che mai”, ha continuato don Ciotti, “ abbiamo coscienza di essere piccoli di fronte ad una crisi economica di così vaste dimensioni”. Siamo di fronte ad una deriva culturale, “siamo in uno stato di coma etico: mi sento molto piccolo”. Da qui, l’invito a ripartire dalla strada e diffidare da chi, invece, si sente grande, “diffidate da chi ha capito tutto”. Bisognerebbe unire le forze e mettere al centro degli interessi le persone. Riprendendo le parole di Paolo VI sulla politica afferma che è: “la più alta forma di carità al servizio per il bene di tutti”. “E’ il noi che vince”, continua, “abbiamo bisogno di parole di carne, dobbiamo unire ciò che la mafia divide”. Passa- poi- a ricordare l’alto contributo di sangue dato dalle Forze dell’ordine alla lotta contro la criminalità organizzata. Ricorda il “nostro” Antonio Montinaro, di Calimera, il poliziotto ucciso dalla mafia nell’attentato a Falcone. Commosso il pensiero rivolto a Rita Adria, la coraggiosa sedicenne siciliana divenuta testimone di giustizia, rinnegata dalla madre di una famiglia mafiosa. Borsellino la andava a trovare nella sua residenza protetta ad Amelia, in provincia di Roma. Luogo in cui si è suicidata a seguito di una crisi depressiva, ma “lei è morta di mafia perché la mafia l’ha isolata”, ha sostenuto il prete, sulla sua tomba non c’è alcuna indicazione, “l’organizzazione la vuole anonima”. Ora quella targa è ai piedi dell’altare. Deposta insieme al vescovo di Riposto. Ma, “la nostra è una strada fatta di collaborazione”, ha continuato nel più assoluto silenzio della gente che non ha voluto perdere un solo passaggio, una sola parola. In questo un pensiero è volato alle vittime dell’Ilva di Taranto, “non si può morire per il lavoro”, ed alla neritina Renata Fonte (la consigliera di Nardò che vi si è opposta), “non si può morire per difendere la bellezza di un luogo come Porto Selvaggio. I miei riferimenti sono il vangelo e la Costituzione Italiana”. Insegnamenti che avrebbe appreso da don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, nativo della nostra Corsano. “La chiesa”, asseriva il prelato, “ è per il mondo non per se stessa, a lei pensa lo Spirito Santo, noi dobbiamo pensare ai poveri della terra”, ovvero: “ testimonianza cristiana e responsabilità civile.
La mia forza è nel Noi e la politica sia sempre al servizio di ogni cittadino, ma se la è lontana dagli ultimi è lontana dalla politica”. E chiude l’intervento riprendendo ancora le parole del presule molfettese rivolte ai politici:” prima che al partito dovete rendere conto a Dio: dignità e giustizia sono valori indivisibili”.
Fernando Durante