Cosimo Moschettini e l’olivicoltura di Terra D’Otranto
Albeggia, in uno scorcio di fine Settecento. Il brullo e possente paesaggio degli ulivi secolari comincia a prendere forma, stagliandosi all’orizzonte. Allo schiarire, il contrasto delle fronde degli alberi con la luce fresca e cristallina del mattino disegna contorni nettissimi, come i bordi anneriti di un pezzo di carta bruciato dal fuoco.
Dietro un muretto di cinta, aggrappati alle pietre, stanno alcuni contadini stretti in un nugolo, nel mentre che la rugiada, scesa sui loro giacconi e le loro visiere di feltro, sottolinea ormai il tempo dell’attesa. All’erta da quella posizione, sorvegliano e proteggono il docile e prezioso bosco di “ogliarole”, pronti a balzare fuori come un manipolo di soldati al riparo di una trincea. Sono lì, ad attendere non l’arrivo di altri uomini, di ladri, briganti o altre tristi figure di battitori di campagna. Ciò che attendono, a pugni stretti, è ben altro. Temono l’arrivo della brusca, la malattia dell’olivo che ne arrossisce, ne “abbrusca” le foglie, per poi isterilire tutta la pianta, distruggendo i raccolti e, con essi, ogni speranza di un’esistenza più mite.
I contadini della Terra d’Otranto hanno l’abitudine di riunirsi in questa maniera, quasi fosse una veglia, una tormentosa agonia, un ultimo e irrazionale impulso di frapporsi fisicamente alla sciagura, quando con lo scirocco e il conseguente calare delle nebbie, si approssimano le condizioni climatiche che sembrano presagire la comparsa del morbo. E’ quanto annota scrupolosamente nel suo breviario Cosimo Moschettini, medico, scienziato, studioso e attivo promotore dell’agricoltura meridionale.
In quel tornante di tempo, a cavallo tra Settecento e Ottocento, Moschettini, il martanese Cosimo Moschettini (1747-1820), è impegnato in una ricerca scrupolosa di tecniche, metodi e pratiche che possano sollevare l’agricoltura del Regno delle Due Sicilie da una conduzione di sussistenza e da conoscenze arcaiche. La sua sensibilità di possidente, di agiato proprietario, unitamente alla sua accurata formazione, avvenuta prima nel paese natio e poi a Napoli, lo hanno convinto del fatto che solo dalla terra possa scaturire il benessere delle popolazioni. Egli infatti è un fisiocratico, appartiene a quella corrente di pensiero che, in opposizione a tutte le teorie mercantiliste, individua il vero fattore di moltiplicazione della ricchezza non negli scambi e nella quantità di moneta posseduta da uno Stato, ma nella fertilità della terra. E’ nella terra, nella sua naturale fecondità che poggia la gratificazione del lavoro e delle fatiche dell’uomo. Da qui, il primato dell’agricoltura su ogni altra forma di attività economica, dall’industria, ai trasporti, al commercio, ritenute occupazioni sterili o parassitarie, e la necessità di garantire ai prodotti della campagna la massima libertà nella coltivazione e nella circolazione, contro vincoli, dazi, monopoli e, infine, poteri. Libertà. Dalla teoria economica della libertà dell’agricoltura, all’ideale politico della libertà dell’uomo, il passo fu breve.
Cosimo Moschettini, illuminista, avrebbe vissuto così tutta la sua esistenza e la sua esperienza di scienziato in ossequio a queste idee, cercando il modo di svilupparle, di approfondirle, di dare loro una veste scientifica rinfrancata dall’empirica evidenza della prova. Ma soprattutto, di attuarle. Dedicatosi ai problemi dell’olivicoltura e alle affezioni che impedivano l’ubertosità della pianta, tra il 1777 ed il 1794 produsse quattro volumi che segnarono il suo definitivo affermarsi nel panorama scientifico meridionale, contestualmente ad altri pensatori, come il gallipolino Giovanni Presta, con cui diede vita ad un puntiglioso quanto avvincente confronto. Dopo aver scritto Della brusca malattia degli ulivi di Terra d’Otranto, sua natura, ragioni, effetti (1777), Della rogna degli ulivi (1790), Osservazioni intorno agli ostacoli de’trappeti feudali (1792) e, infine, Della coltivazione degli ulivi e della manifattura dell’olio (1794), si sarebbe dedicato definitivamente allo sviluppo e alla diffusione delle pratiche e delle conoscenze agricole messe a punto nei quasi vent’anni di produzione scientifica. Già socio di molteplici accademie e società economiche italiane e straniere, nel 1810 accettò infine il prestigioso incarico di segretario perpetuo della Società di Agricoltura di Terra d’Otranto, che tenne fino al 22 luglio 1815, quando, ormai sessantottenne, «per la sua età, vacillante di salute, e per la lontananza del suo domicilio», chiese ed ottenne il ritiro. Sarebbe morto il 2 settembre 1820, andandosene sobriamente, e ammonendo i suoi familiari, cui in vita aveva dato tanto, da fasti e pompe inconsulte.
Antonio Bonatesta