Lettera aperta a Gianni Giannoccolo
il tono è famigliare, perché per noi sei sempre stato così: semplicemente Gianni. O meglio ancora lu Giannoccolo, il partigiano, il fratello di Ferruccio e della Maria. In questi anni, sono state molte le occasioni, in cui i compagni più anziani – Vittorio Tremolizzo, Ippazio Luceri, Salvatore Sicuro – ci hanno parlato di te. Raccontandoci del tuo impegno nella guerra di Liberazione prima, e, successivamente, delle tue battaglie per l’emancipazione del movimento operaio.
Lessico, quest’ultimo, non più evocativo di un cammino di presa di coscienza dell’ingiustizia sociale. Non più in grado, purtroppo, di far riconoscere milioni di persone, semplicemente con una parola, “anche nel buio di una grotta”. Oggi siamo tutti irriconoscibili, invisibili uno all’altro, “un urto tra ignoti” incapaci di costruire un fronte generazionale per rispondere alle spaventose disuguaglianze prodotte dal nuovo nemico dell’umanità: il neoliberismo selvaggio.
Macchina di un disagio sociale che produce cifre e numeri da far paura, ma anche storie personali che ci fanno toccare con mano lo spaventoso balzo all’indietro della nostra civiltà. Il peggio, come scriveva Hannah Arendt oltre mezzo secolo fa, “è trovarsi a far parte di una società, in cui le motivazioni, il senso d’identità, il riconoscimento sociale, i percorsi di vita, sono stati interamente costruiti intorno al lavoro, in specie attorno al lavoro dipendente salariato, nell’età in cui questo viene a mancare”.
Per rispondere a questo disagio abbiamo voluto costruire in quest’angolo di mezzogiorno, come ci piace scrivere nei nostri volantini, un piccolo laboratorio alternativo ai sentieri ristretti della politica del nuovo millennio: personalismo, cricche e affari, clientelismo, affiliazioni politiche prive di contenuti, ecc. Il nostro sentiero, ancora più stretto degli altri, parte da un grido d’insofferenza verso le attuali classi dirigenti, da quella che vuole riscrivere la Costituzione, depredandola dei suoi valori sociali con l’inserimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio, a quella della nostra città: “Non ci avete convinto”.
Ed è proprio questa presa di distanza uno dei postulati della nostra proposta politica. Una proposta che abbiamo riempito, non con la nudità delle idee, ma con il nostro umile impegno – seppur a volte discontinuo e spezzettato -. Le risposte ai nostri input per affermare una cultura dei beni comuni, in alternativa a quella dominante delle privatizzazioni, delle deregolamentazioni, del libero mercato, sono state a volte a sorprendenti: molti martanesi, per esempio, hanno firmato la petizione da noi promossa a favore dello ius soli.
Anche l’affluenza alle urne – grazie ad un mobilitazione diffusa che ci ha visti impegnati ha bussare alle porte di tutti i nostri concittadini – in occasione del referendum del 12 e 13 giugno 2011 è stata straordinaria: con il 69,9% del corpo elettorale che si è recato alle urne per dire sì all’acqua pubblica, un risultato ben al di sopra della media nazionale. Un esempio concreto che, quando la politica esce dall’humus maleodorante del lobbismo, dell’intrallazzo del sottogoverno, quando ripudia il mito della tecnocrazia, il culto degli esperti, la paura del populismo; e riesce ancora a parlare a coloro che “avevano nel cuore pochi libri”, le parole della poesia dovrebbero esserti famigliari, è Quasimodo, le abbiamo trovate sul tuo libro: “L’occupazione nazista in’Italia”, può rappresentare davvero una prospettiva di cambiamento per uscire dalle fosse comuni della disoccupazione, della sempre più visibile, questa si che ha un volto, ineguaglianza sociale.
Ma la nostra militanza, giusto per utilizzare un termine dell’altro secolo, non si esaurisce nell’elaborazione di una cultura dei beni comuni. Da anni, Martano è anche un punto di riferimento nel contrasto attivo ai neofascismi di qualsiasi natura e alla cultura dell’oblio, di cui sono, ormai, intrise anche le istituzioni. Un notevole contributo a queste forme di resistenza intellettuale contro il revisionismo, che mira a mantenere stabili le basi dell’attuale pacificazione sociale, è quello dei lavori di Pati Luceri, che hanno, tra i tanti meriti, anche quello di sfatare il luogo comune che la Resistenza sia stata un fatto storico delimitato geograficamente al nord’Italia.
Grazie a questo lavoro, condotto con l’impegno di un archeologo che cerca di riesumare i valori, i nomi, i volti, le storie della civiltà democratica nata dalla lotta antifascista, scopriamo che sono sempre più numerosi i contributi dei nostri concittadini alla guerra di Liberazione. Per questo, viviamo quest’incontro, come se fossimo nel solco di un sentiero tracciato da una ideale staffetta che unisce due generazioni di antifascisti: la vostra, capace di uscire dalle tenebre della storia, alla nostra di “cittadini inghiottiti dall’incertezza del presente e dell’immediato futuro che cercano nella nebbia globale la strada per avanzare nel terzo millenio. Tutto ciò che sanno con certezza -faceva notare Hobsawm – è che un’epoca della storia è finita. La loro conoscenza non va oltre”.
Nati dalla Resistenza
Martano