Democrazia e partecipazione: diritti negati
Piazzetta Matteotti così com’è oggi può piacere o non piacere. “Ci vorrebbe più verde, qualche panchina in più, ma gli alberi non andavano comunque tolti, adesso è più luminosa, etc.”
Tutte le considerazioni sono ovviamente legittime. Fino a quando abbiamo qualcosa da dire va sempre bene. In questo momento la questione più importante è però un’altra, e prescinde dalla nuova conformazione dello spazio. Prendendo spunto dalla recente inaugurazione e dalle numerose osservazioni fatte anche da questo giornale, riguardo all’intervento di cosiddetta riqualificazione, l’unica considerazione che riteniamo ancora valida oggi, a lavori ultimati, è il diritto alla partecipazione. Che non può assolutamente passare in secondo piano, né tantomeno essere negato come è stato fatto.
Un diritto scarsamente contemplato in molti statuti comunali ed allo stesso tempo molto più sminuito nella prassi. Il diritto di intervenire nei processi di urbanizzazione della città è più rilevante di quanto possa sembrare di primo acchito. Modificare uno spazio urbano tenendo in considerazione le opinioni di chi ci vive, oppure dialogando con le forze associative presenti sul territorio, può migliorare notevolmente la qualità dell’intervento, perché valorizza i bisogni più intimi della popolazione, soddisfacendo il diritto collettivo di reinventare la città secondo le esigenze di ognuno.
Quanto avvenuto a Martano con gli interventi in Piazza Assunta e Piazzetta Matteotti, è stato l’esercizio di un potere individuale in degli spazi che per loro natura configurano un interesse generale. Il criterio d’intervento seguito è stato simile a quello che si adotterebbe per un abitazione privata. Nulla di sorprendente a dire il vero, tutto in linea con lo spirito dei tempi. La politica ha da tempo rinunciato al contatto con il popolo, respingendo l’idea che le decisioni possano maturare attraverso processi partecipativi. Svilire la democrazia è stato l’impegno costante della classe dirigente italiana. Smontare i partiti, i sindacati, renderli gusci vuoti, ha significato regalare più generazioni all’indifferenza. Il frutto avvelenato di questo processo di smobilitazione è l’affermazione del culto della tecnocrazia: un governo di pochi, lontano dalle passioni politiche, lontano dalle esigenze reali.
Le grandi infrastrutture (Tap e Tav) e le piccole opere (per esempio quelle realizzate nella nostra cittadina), hanno il merito di palesare il metodo seguito, sempre lo stesso, valido in ogni dove: “sono necessarie, è impensabile rinunciare, serviranno per lo sviluppo del Paese, chi si oppone sbaglia a prescindere”. E così la concertazione, il dialogo tra forze politiche (nonostante si registri la chiusura quasi totale delle sezioni locali), il conflitto sociale, insomma, il meglio della tradizione repubblicana finisce nel dimenticatoio dell’archeologia politica. “È la modernità baby”, direbbero in America. È la modernità dei cantieri e degli appalti a circuito chiuso, delle larghe intese necessarie per lo status quo di pochi, della cancellazione del welfare e del lavoro, monumenti alla civiltà costruiti da un’altra cultura politica, capace con la scrittura della Costituzione, come ci ricorda Roberta De Monticelli, “di far scendere le leggi di natura giù, nel fondamento delle nostre vite, affinché in alto invece – al posto del cielo e delle stelle – fossero poste leggi fatte da noi, fatte per porre un limite a ciò che c’è in noi di violento e di rapace (…) Fatte soprattutto perché la giustizia cosmica non c’è, perché l’ordine del cosmo è per noi cosmica ingiustizia”.
Una carta costituzionale che di questi tempi viene vissuta sempre più come un intralcio, di cui sbarazzarsi velocemente attraverso la manomissione dell’art.138 (fondamentale norma di garanzia), per favorire la formazione di esecutivi sempre più decisionisti, meno ostaggi del parlamento e più affidabili per i mercati finanziari. Ed è proprio questa una questione cruciale per il nostro Paese, una ragione per tornare a mobilitarsi: la difesa della Costituzione. A partire dall’art. 1, perché la democrazia va di pari passo con il lavoro. I diritti sociali con quelli civili. Una visione, quest’ultima, che ormai ha troppi nemici, a destra come a sinistra. Marchionne ha fatto scuola, emblematiche le vicende Mirafiori e Pomigliano d’Arco. O così o chiudo, o il lavoro o i diritti, niente libertà sindacale. La Corte di Cassazione gli ha ricordato che esistono i diritti fondamentali, come quello di scegliere il sindacato a cui iscriversi.
Un’altra violazione della legalità costituzionale arriva da Napoli, la Regione Campania aveva presentato una proposta di legge volta nella sostanza a bloccare il processo di ripubblicizzazione dell’acqua. Per fortuna, anche qui, l’intervento della Corte Costituzionale ha ribadito l’obbligo di rispettare l’esito del referendum.
A tal proposito, facciamo un appello al Sindaco Coricciati a prendere in maggiore considerazione la recente proposta del Movimento 5 stelle, di dotare Martano di alcune fontanelle che consentirebbero, previa opera di sensibilizzazione, un diverso consumo dell’acqua e soprattutto della plastica. Anche questo significherebbe rispettare l’esito della consultazione referendaria, ricordiamo gli impegni assunti dal Consiglio Comunale dopo la straordinaria partecipazione dei nostri concittadini il 12 e 13 giugno 2011.
Ritornando alle piazze della nostra città e al diritto alla partecipazione negato, è importante riconoscere che l’azione amministrativa degli ultimi tre anni si è concentrata quasi esclusivamente sui processi di urbanizzazione, a partire dalla vicenda del Peep (Piano edilizia economica e popolare), facendo emergere una visione della città privatistica, chiusa negli interessi di bottega, respingente verso qualsiasi tentativo di segnalare altre priorità. Il cospicuo investimento per raffinare il centro è troppo a scapito del resto del paese: sempre più periferico, sempre più degradato, sempre meno verde. È qui che bisogna cambiare caro Sindaco Coricciati, ce lo insegnano le rivolte dei brasiliani che chiedono maggiore inclusione sociale e non soltanto opere faraoniche per i profitti di pochi, ce lo ribadiscono i giovani turchi, non stiamo parlando della corrente democratica di Matteo Orfini, che si ribella contro l’autoritarismo di Erdogan.
Bisogna davvero mettersi in sintonia con il cambiamento e con i nuovi bisogni generati dalla crisi, che sta accentuando sempre di più le ineguaglianze, riportando indietro le lancette della storia alla carità privata, cancellando il dovere pubblico di promuovere l’eguaglianza.
Per non fare speculazione politica fine a se stessa, è necessario riconoscere che i comuni in tempi di forzata austerità, e a volte, anche per una cattiva gestione delle finanze, hanno margini sempre più ristretti per migliorare la qualità dei servizi, mancano i soldi per la spesa corrente, il patto di stabilità a volte è stupido, tutto vero. Sono davvero tante le Detroit italiane (comuni in bancarotta), per l’esattezza 52, come ci ricorda un articolo di Paolo Griseri per La Repubblica. Ma se quel poco che si può fare lo si fa sempre allo stesso modo, cioè ignorando le voci critiche e seguendo sempre la solita logica del <<Franza o Spagna purché se magna>>, allora non lamentiamoci della disaffezione dei cittadini per la cosa pubblica, del crescente astensionismo (vedi le ultime comunali), eccetera.
Per concludere con una nota positiva, forse, è il caso di ripartire proprio da qui per provare a gettare le basi di un cambiamento necessario, dall’Italia dei piccoli e grandi comuni, un piccolo segnale arriva da Messina, dove è stato eletto un sindaco un po’ sui generis ma che comunque esprime una certa vivacità politica in una città difficile.
Marco Termo
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I cittadini di Martano si sentono: insoddisfatti, demoralizzati e
stanchi, perchè la nostra comunità è governata da personaggi che,
dopo tre anni abbondanti di amministrazione, hanno dimostrato,
semplicemente, di non essere capaci di gestire il nostro territorio
dove viviamo.
Alla luce degli Atti, Decisoni, Delibere, Determine, ecc.ecc,
sembrerebbe una gestione amministrativa senza intoppi, visto e
constatato che
i gruppi di minoranza
non comunicano, non discutono, non intraprendono iniziative (verba
volant – scripta manent) sulla reale situazione delle problematiche
di carattere amministrativo
Caro demos, i gruppi di minoranza prendono “iniziative di minoranza” o, meglio, “singolari”. Cioè utili al singolo esponente della minoranza. Altro che non prendono iniziative!!!!!!!!