Perturbazioni: la falsa storia di Pinocchio
Mastro Ciliegia dona un ciocco di legno animato al falegname Geppetto, il quale ne costruisce una marionetta e gli dà il nome di Pinocchio. L’esuberante burattino, un vero monello, attira i guai come il miele le api. Maestro nell’arte del marinare la scuola, Pinocchio disattende le aspettative del canuto genitore, scappa e, nelle sue rocambolesche avventure, rischia a più riprese di perdere la vita. Arrivano a salvarlo, fortunatamente, Turchina e il Grillo parlante, ma il burattino finisce nuovamente nei pasticci, e nell’Isola dei Balocchi viene financo trasformato in asino. Infine, si ritrova nel ventre di un pescecane, dove incontra e salva il suo babbo, che, in preda alla disperazione, era andato a cercarlo per mare ed era stato inghiottito dalla balena.
Ogni generazione che si rispetti affronta la lettura del classico collodiano, il libro italiano per bambini più tradotto al mondo, e lo interpreta con i suoi parametri.
Oggigiorno non si contano più le trasposizioni cinematografiche, teatrali e televisive, in cui registi e sceneggiatori hanno riadattato la storia in base al proprio criterio valutativo e gusto artistico; versioni più o meno fedeli all’originale che non smettono di affascinare grandi e piccini, nonostante siano spesso oggetto di accesi dibattiti stilistici. Per ultimo, il grottesco quanto controverso “Pinocchio” di Enzo D’Alò.
Lecce, luglio 2013: approda in libreria “La falsa storia di Pinocchio. Filastrocca educativa in rime” di Davide Urso, edito da Self Editrice (www.selfeditrice.it).
Il giovane autore salentino propone una stimolante alternativa al romanzo di Carlo Collodi, a partire dalla modalità narrativa, giustappunto la filastrocca.
Urso riveste dunque il suo burattino di versi, a dispetto della tradizionale veste in prosa. Diversificando l’offerta narrativa e tematica, il prodotto è il frutto dell’innovazione e non si presenta come l’ennesimo noioso rimaneggiamento di un classico.
Il ritmo appare dinamico e cadenzato con rime, assonanze e allitterazioni, nonostante la mancata perfezione di una manciata di versi.
Un po’ come era stato per la poesia burlesca e popolare del Cinquecento, il testo nasce come strumento educativo e, lo si legge nella Premessa, “insegna al bambino qualcosa che va al di là della trama. Ciò che vuole insegnare è un insieme di parole che ancora non conosce, ma che gli serviranno una volta diventato adolescente. Il lettore può apprendere divertendosi, quasi inconsciamente. Al termine della storia, infatti, è presente il glossario, che racchiude tutte le parole più difficili e fornisce una spiegazione elementare, capace di essere compresa dai più piccoli.”
Il libro è suddiviso in quattro parti, per un totale di centotredici strofe così ripartite:
- Parte prima: Il Viaggio (cinquanta strofe);
- Parte seconda: Il Castello (cinquanta strofe);
- Parte terza: La Fuga (dieci strofe);
- Parte quarta: La Fine (tre strofe).
Lo scrittore si diletta nell’arte dell’esercizio di stile, sperimentando strutture metriche diversificate. Difatti, se nella prima parte domina la sestina narrativa con schema ABABCC, conclusasi tematicamente la suddetta, così come annunciato nelle strofe 49-50 per bocca del Grillo, nella seconda parte i versi rimeranno in ABACBC.
Il ritmo, soprattutto nella seconda parte, risulta alterato dall’uso di numerosi enjambements.
La struttura appare ordinata, e la storia scorre sostanzialmente su due tempi narrativi: il presente, in cui si svolge l’azione, e il passato, da cui sono attinti gli antefatti.
I tempi verbali, coerentemente ai livelli narrativi sopraccitati, spaziano elegantemente dal presente (dialoghi) al passato remoto (verbi di movimento e azioni finite), passando per l’imperfetto (narrazioni e descrizioni).
L’universo favolistico collodiano svanisce quasi del tutto: gli animali dal comportamento antropomorfizzato, fatta eccezione per il Grillo, sono sostituiti da personaggi in carne e ossa (Federico, Giovanni, Vincenzo), e sulla scena, a sorpresa, irrompe una bella addormentata da salvare.
Le caratteristiche intrinseche e salienti di Pinocchio e del Grillo sono ben radicate nell’immaginario collettivo dei lettori, cosicché la storia non abbisogna di ampi preamboli introduttivi, che sarebbero necessari qualora si partisse da zero.
Urso, non perdendo mai di vista la dimensione avventurosa, focalizza l’attenzione su un tema cardine dei giorni nostri: la violenza. Il Grillo, impersonando la voce della coscienza che cerca di orientare Pinocchio verso le scelte giuste, tuona a gran voce:
per questa missione non serve la pistola,
ma serve coraggio, in modo eccessivo
e ancora:
non dovrete mai ammazzare
chi un’anima dentro tiene
dovete vincerlo col cervello
e la maledizione non vi viene.
Meno apertamente fantastico, La Falsa storia di Pinocchio è finanche uno spunto di riflessione sul potere del pregiudizio ed un invito all’ascolto:
“Le mie scuse ti porgo ancora adesso
ho capito una lezione sonora:
devo ascoltare più spesso
e non essere impulsivo mai e poi mai
altrimenti combino solo guai”.
Non mancano le svolte improvvise nello sviluppo della trama, un continuo susseguirsi di colpi di scena, che, garantito, stupiranno i piccoli lettori, mantenendone vivo l’interesse.
Nell’ambito visivo-illustrativo, la realizzazione grafica di Azzurra Legari è bella e sognante, impalpabilmente evanescente. Gli sfondi sono acquarellati e pastellati, le forme dei luoghi ben studiate e ragionate, i colori carichi di sensazioni visive.
Senza troppe pretese, gentili lettori, vi ho suggerito un piccolo spunto interpretativo del libro, personale quanto opinabile. A voi il piacere della lettura.
Maria Luisa Stomeo
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