Donato Micali. Storia di un deputato mai eletto.
Attraversare il cimitero di Martano è come perdersi tra le pagine di una memoria pietrificata, in cui ogni scorcio sussurra, nella mente di chi è disposto ad ascoltare, la traccia e l’indizio di una storia perennemente in bilico sul ciglio dell’oblio.
Così a me sembra quando, oltrepassata la chiesetta settecentesca dei Margoleo, le cappelle gentilizie sorvegliano il varco della grande scalinata e si impongono al passaggio. Impossibile sottrarsi alla dignitosa solitudine del leone rimasto a guardia di Francesco Marati e dei suoi ospiti, alle ammonizioni di Antonio Corina, alla sobria compostezza dei Grassi e, persino, al malcelato sfoggio di opulenza dei Prete-Libertini. Nelle retrovie, dimessa e nascosta sta invece un’ultima cappella funeraria, quella dei Micali. I suoi vetri offuscati consentono ben poco alla curiosità e raccontano ancora meno, se non l’estinzione di una secolare e prestigiosa famiglia del notabilato martanese nel ramo dei Gabrieli di Calimera.
In quella cappella, come per le strade di Martano, manca il nome di Donato Micali, personalità tra le più illustri all’interno di quel recinto di oscurità entro cui la città ha costretto molti dei suoi figli migliori. La storia di Donato Micali comincia nei primi anni dell’Ottocento e, sino alla scomparsa avvenuta a Lecce in un torrido pomeriggio del 23 agosto 1883, sarà contrassegnata da un coerente e composto impegno politico, tutto speso nell’osservanza dell’idea mazziniana e nella leale amicizia verso i principali esponenti del radicalismo repubblicano leccese.
La complessità delle alleanze matrimoniali e l’influenza economica e sociale degli ingentissimi patrimoni familiari di provenienza è alla base dell’autorevolezza e del peso che Donato Micali avrebbe esercitato nel collegio elettorale di Maglie e in tutta la provincia nei decenni centrali dell’Ottocento. La madre, una giovane esponente dei Calofilippi di Galatina, gli aveva portato in dote non solo un patrimonio di oltre 15.000 lire tra casamenti, palazzi, trappeti e terreni, ma anche una solida entratura politica in quella città, attraverso la stretta rete di relazioni politiche che i Calofilippi avevano costruito all’interno dei circuiti della carboneria salentina prima, e degli ambienti mazziniani poi. La complessità delle strategie matrimoniali dei Micali, tuttavia, proiettava le relazioni di Donato al di là dell’appartenenza politica, dal momento che Maria Donata Micali, sua cugina diretta, sarebbe presto andata in sposa al magliese Oronzio De Donno, patriota moderato e futuro deputato di parte conservatrice.
Un’eredità politica, quella delle famiglie Micali e Calofilippi, che Donato avrebbe coltivato oltre i confini del collegio sin dai tempi della formazione scolastica presso i gesuiti e con l’ingresso, alla fine degli anni Quaranta, nei circoli repubblicani guidati da Vincenzo Cepolla e da Giuseppe Libertini, quest’ultimo uno dei principali collaboratori di Giuseppe Mazzini. Tessitore instancabile, grazie all’impegno di Donato Micali, una parte consistente del personale politico martanese era ormai attestata, alla vigilia dell’Unità, su posizioni “avanzate” e saldamente inserita negli ambienti radicali della provincia.
Dopo il 1861, era dunque naturale che il “partito” mazziniano che egli aveva contribuito a costruire e consolidare nel suo paese natale assumesse la guida di Martano sotto il sindacato di Achille Andrichi, mentre, nel giro di breve tempo, Micali stesso veniva eletto dapprima nel Consiglio comunale di Lecce, dove avrebbe ricoperto la funzione di sindaco supplente, e nel Consiglio provinciale di Terra d’Otranto. Da quelle posizioni, avrebbe contribuito ad affermare i valori repubblicani, a difendere i ceti popolari e le categorie produttive dall’opprimente politica fiscale dei governi della Destra storica e a riaffermare, contro lo stesso Oronzio De Donno, gli interessi di Martano nello scontro con Maglie per il passaggio della ferrovia. Per tutti gli anni Sessanta dell’Ottocento, la residenza a Lecce, l’esercizio della professione legale e il suo definitivo inserimento nei circuiti della massoneria leccese, avrebbero reso Donato Micali uno degli esponenti più in vista della sinistra radicale salentina, tanto che le relazioni delle autorità prefettizie si soffermarono spesso sulla sua figura, non potendo fare a meno di descriverlo come persona onesta, «che ha ingegno e cultura, ma [che] milita fra le fila del repubblicanesimo ed è ritenuto come il più fido compagno e consigliere del Libertini».
Alla fine degli anni Sessanta, con la riorganizzazione delle forze moderate e governative per opera del prefetto Antonio Winspeare, la sinistra repubblicana cominciò a perdere terreno in tutta la provincia mentre un’intera generazione di vecchi mazziniani forgiati con la militanza clandestina e le persecuzioni borboniche cominciò a subire le prime gravi sconfitte. Nel 1871, Donato Micali perdeva il seggio mandamentale proprio contro il moderato castrignanese Francesco Monosi. L’anno successivo, a Martano, Achille Andrichi era costretto a ritirarsi, nel generale indebolimento delle posizioni schiettamente repubblicane in città. Tuttavia, proprio quando il declino sembrava ormai avviato, Donato Micali si trovò a un passo dall’elezione in Parlamento, in occasione della preparazione delle candidature per le elezioni del 1876.
In un tempo in cui, nel collegio di Maglie, le sorti di ogni candidato si decidevano più sulla base dello scontro campanilistico tra Maglie e Galatina che sulla base del confronto politico, la complessità della rete parentale dei Micali tornava particolarmente utile a Martano, nel tentativo di smarcarsi dall’influenza delle due principali città. In più, la morte di Giuseppe Libertini nel 1874 aveva condensato su Donato Micali le simpatie e il prestigio derivanti dall’essere stato uno dei più stretti collaboratori del vecchio repubblicano leccese. Così, in un primo momento, al profilarsi dell’ennesima candidatura di Oronzio De Donno, egli decise di misurarsi in un confronto elettorale diretto contro il cugino. Tuttavia, l’avvento della Sinistra storica di Deprestis consigliava un passo indietro a chi, come lo stesso De Donno, aveva per lungo tempo cavalcato le posizioni del moderatismo. Allo stesso modo, i candidati governativi imposti a livello nazionale dalla Sinistra cadevano uno ad uno. Si arrivò ad un comizio pubblico a Galatina, dove tutte le fazioni e le correnti politiche del collegio, dalla destra moderata alla sinistra costituzionale, fecero un passo indietro, offrendo la candidatura unica e un’elezione certa a Donato Micali. De Donno era rassicurato dalla relazione familiare, la sinistra convinta di poter omaggiare un ormai vecchio esponente delle battaglie risorgimentali. Prodromi di trasformismo. Micali, uomo della vecchia guardia mazziniana, repubblicano intransigente, non poteva accettare una candidatura senza connotazione, senza confronto, senza significato né speranza verso quei valori che aveva sempre propugnato. Rifiutò. E si ritirò nel riserbo. Non gli rimaneva così che attendere la morte, non prima di aver ceduto, nel 1879, il suo brevetto massonico ad un giovane di belle speranze, Francesco Marati.
Donato Micali moriva nella sua casa di Lecce, in un torrido pomeriggio del 23 agosto 1883.
Antonio Bonatesta