La radicalità del pianificatore solitario
A Martano il vasto processo di risignificazione del corredo urbano e della stessa identità materiale, urbanistica e monumentale della città è giunto a quello che può forse essere considerato il suo punto massimo.
Più volte abbiamo denunciato, attraverso la stampa cittadina – l’unica voce, l’unica senza vincoli e remore- che dietro alla trasformazione di luoghi simbolici della città, piazza Assunta e piazza Matteotti, giace un progetto – o forse sarebbe più opportuno parlare di inerzia – tipico di una certa cultura politica, tendente a legare e soddisfare l’istanza del cambiamento ad una dimensione materiale (l’insieme tangibile di strade, piazze e palazzi) piuttosto che a quella sociale ed economica (la sfera dei diritti e della protezione dei cittadini).
Come accade dappertutto, questa inerzia viene coperta ideologicamente dietro il termine “riqualificazione”, il cui utilizzo comune è tanto più pericoloso e deleterio quanto meno si comprende che la disinvoltura dell’uso giustifica linguisticamente e automaticamente ogni sorta di stravolgimento.
Stravolgimento, e non riqualificazione. Generalmente, chi si oppone ai progetti di trasformazione territoriale viene bollato come “radicale”. I radicali anti-TAV, i radicali anti-SS275, i radicali anti-TAP. E l’accusa risulta ampiamente capziosa. Giacché la vera radicalità non è propria dell’atteggiamento pubblico di quanti non desiderano cancellare del tutto gli elementi tradizionali e naturali del paesaggio (urbano e rurale, ammesso che vi sia ancora differenza), senza con questo negare il diritto di ogni generazione e di ogni società di produrre segni e trasformazioni sul territorio.
La vera radicalità, al contrario, è quella di chi ritiene, come il pianificatore assoluto sciolto dagli interessi, dalle rappresentazioni e dai significati prodotti dalla società su cui agisce, di poter realizzare cambiamenti irreversibili. Sono questi i veri “radicali”, coloro che rifiutano irresponsabilmente la possibilità della stratificazione, in nome dello smantellamento totalitario, politico e materiale, valoriale e urbanistico.
E invece per noi la metafora è quella della stratificazione. Noi siamo dell’idea che un la sostenibilità di ogni azione politica passi dalla capacità di inserire il cambiamento in un sistema di equilibrio con le risorse naturali e con le testimonianze storiche (la cosiddetta “tradizione”) del rapporto culturale che le società passate hanno avuto con quelle stesse risorse.
Così, tornando a Martano, dopo piazza Assunta, tocca adesso a piazzetta Matteotti. Questa volta, con un balzo qualitativo nella sfida lanciata alla città. Non si tratta, come per la piazza principale, di sostituire l’asfalto con materiale nobile, ma si tratta di cancellare d’un colpo, rimuovendoli e sostituendoli, un secolo e mezzo di interventi e di sedimentazioni prodotte dalla comunità martanese in quella particolare area della città.
E’ una trasformazione radicale e irreversibile dell’identità del paese, dove alla dimensione storica e collettiva della presenza stratificata, si sostituisce bruscamente un progetto solitario, pianificatorio, non identitario ma identificabile con il potere politico.
A dimostrazione dell’incomunicabilità degli approcci, il pianificatore solitario ha risposto ad una militanza civica che non ha avuto sbocchi significativi dal punto di vista della rappresentatività politica, spostando gli alberi della piazzetta nel cimitero comunale. Fa molta tenerezza che si pensi di risolvere un conflitto tra diversi modelli di sviluppo di una città, spostando quattro alberi da un luogo all’altro. L’albero è salvo, si dice, così gli amici dell’albero con l’anello al naso sono contenti e ripongono le clave.
Ma non è per la pianta che si è combattuto e si combatte, è per un’idea di città differente, per un diverso rapporto tra la città e chi la abita.
Antonio Bonatesta
I progetti imposti dalla politica sono esclusivamente a vantaggio di pochi imparentati, mentre l’intera collettività subisce passivamente tali scelte. Neanche le attività commerciali, fortemente danneggiate, riescono a lanciare un grido d’allarme. Il nostro non è un paese LIBERO.