Quando si rivela ipocrita invocare la difesa dell’ambiente.
“Chiediamo a voce alta che la politica e le amministrazioni si sveglino dal torpore in cui giacciono da mesi. Noi siamo pronti alle barricate e ad un autunno caldissimo se non vedremo applicati provvedimenti urgenti per la difesa del territorio”. Le parole non sono quelle di un fervente ambientalista ma del responsabile provinciale leccese del Sib, Sindacato italiano balneari, all’indomani dell’ennesima mareggiata che, nei giorni scorsi, ha pesantemente colpito il litorale a nord di Otranto. Si invoca il ripascimento delle spiagge. Ma è curioso che a gridare “alla difesa del territorio” sia proprio un rappresentante di quegli stessi imprenditori balneari (non tutti ovviamente) che a partire dagli anni 60, sfruttando una legislazione permissiva, hanno costruito ammassi di cemento sulle nostre spiagge, devastando la linea delle dune e sconvolgendo l’ecosistema costiero. Non fraintendiamoci. Tutto nella norma. Una politica “prona” pur di avere salde le redini del potere ha “svenduto”, nelle più varie forme che la galassia delle leggi consente, interi pezzi di paesaggio costiero italiano. Il sistema delle concessioni si è risolto di fatto in un “diritto di proprietà temporanea” su lembi del demanio pubblico. Chi impedisce oggi ad un gestore di un mega-lido di disboscare, magari d’inverno, interi tratti di pineta adiacenti alla sua struttura per creare posti parcheggio? Non certo la Forestale. I controlli scarseggiano. Quando invece avvengono è prassi che l’accertamento della violazione sbatta inevitabilmente contro il muro del “condono”. Qualche riga allarmata sul giornale locale ma un “buon” avvocato risolve tutto. Dov’è il sindacato balneari in questi casi? E dove sono gli amministratori locali quando impianti ricettivi vanno a conficcarsi in una scogliera tra le più belle d’Italia? Dov’è andata a finire la coscienza di un eventuale giudice amministrativo che consente simili delitti?
Contro questa corsa all’abbruttimento la soluzione oltre che politica deve essere soprattutto culturale. A nulla servono i commi di un decreto se non matura in ognuno di noi l’idea del “paesaggio come dimensione costitutiva dell’essere italiani”. Perché, come diceva Pasolini, credere nel progresso non implica credere nello sviluppo, soprattutto se questo passa solo dalla tecnica e dal denaro. Per carità, le ragioni del lavoro sono centrali e nobili. Ma possiamo NOI pensare ad un progresso diverso? Siamo liberi di giudicare uno spreco contraccambiare 20 posti di lavoro, per giunta stagionali e precari, con la distruzione di un pezzo di costa che non avremo MAI più?
Francesco Antonica
antonicafrancesco@libero.it
Egregio amico, solo per tua conoscenza ti comunico che la zona dei laghi Alimini, é stata indicata, con la L.R. del 97, area prevista per l’istituzione a Parco unico ancora che non riesce a decollare. In detta zona esiste un’Oasi, creata con D.M. del 1971 ampliata con D.G.R. del 1976 che si amplia per trenta ettari con inizio dal bosco sino al mare. Ebbene, sulla fascia demaniale di appena quattro cinque metri, la Capitaneria di Porto di Otranto, ha autorizzato l’insediamento di uno stabilimento balneare. Il Comitato per la tutela dell’Oasi e per la costituzione del Parco, ha segnalato tale impropria situazione a chi di dovere ma tutti fanno orecchio da mercante o tutti si fingono ciechi, eppure a tale comitato hanno aderito cinquantuno comuni della provincia, trenta associazioni varie tra cui Università ed ambientali, con esclusione del WWF, Legambiente, FAI, anche se più volte sollecitati, forse mancava il profumo dei soldi.