Tap, un’opera che fa gli interessi di pochi e ignora la volontà della gente
È fine febbraio, siamo a Baku, capitale dell’Azerbaigian. Siamo tra i palazzi del governo in un incontro ufficiale tra i paesi partecipanti e l’Italia viene bacchettata per i notevoli ritardi nella costruzione del gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline), il segmento in terra nostrana del Corridoio Sud del Gas. Il ministro dello Sviluppo economico italiano Carlo Calenda dice subito che da lì a qualche giorno si procederà con l’espianto degli ulivi. Passano poche settimane e nel Salento, località San Foca e San Basilio a pochi chilometri da Melendugno partono i lavori, non senza scontri tra manifestanti No Tap, tantissima gente accorsa a difendere il territorio ed una manciata di sindaci, tra cui il sindaco di Melendugno Marco Potì, dove egli stesso è stato caricato dalla Polizia di Stato.
Quello che è successo nei messi successivi è storia nota a tutti, cariche ai manifestanti, lavori di notte per evitare “disturbi” dei manifestanti, interventi avvenuti in estate, nonostante il periodo di tregua concordato tra le due parti, fino ad arrivare alla vera e propria militarizzazione di Melendugno avvenuta negli ultimi giorni. Una condizione inaccettabile in un paese che vive momenti delicatissimi nel proprio territorio, in cui la gente non è nemmeno libera di circolare nel proprio hinterland a causa dell’ingente forza di polizia impiegata a protezione dei lavori per la realizzazione del gasdotto. Non essere i padroni in casa propria: è questo quello che sta vivendo ogni cittadino salentino, e di Melendugno in particolare, in questi ultimi anni. Costretti ad accettare un’opera imposta dall’alto soltanto per interessi economici e per volontà dei potenti, un’opera che non porterà vantaggi al nostro territorio, ma lo deturperà solamente, andando a colpire l’anima dei salentini, nonché unico sogno e speranza rimasta a molti abitanti della zona. Specchiarsi nel proprio mare limpido e poter accogliere milioni di visitatori che ormai sono diventati una delle poche forme di sostentamento di questa terra già martoriata da anni di crisi economica senza eguali.
E così, si militarizza un territorio, si impiegano schieramenti costosi ed ingenti di Forze dell’Ordine, si espiantano ulivi. Il tutto per costruire un’opera che non serve. In Europa di gasdotti ce ne sono in abbondanza, nonostante i consumi siano in costante diminuzione. I progetti di nuovi gasdotti rispondono quindi a ragioni economico-finanziarie e non alle “necessità” reali di chi vive in Italia o negli altri paesi. Costruire Tap non servirà a rilanciare l’economia e a “uscire” dalla crisi economica che persiste. Anzi, nel nostro territorio avrà l’effetto totalmente contrario. Sì, perché il problema principale, quello che preoccupa di più opinione pubblica territoriale e abitanti della zona è l’impatto ambientale che avrebbe il gasdotto sulla nostra terra.
L’infrastruttura, infatti, arriva dal mare, attraversa la falda acquifera, che proprio nella zona di San Foca passa quasi in superficie, mette a rischio la costa, l’habitat marino, le riserve d’acqua e le piantagioni antiche di ulivi anche millenari. Distruggerebbe così l’ambiente in cui vivono delle persone, e in cui sono incardinate tutte le attività economiche e commerciali che in questa terra danno da vivere, che sono parte del tessuto sociale e culturale del territorio. Dalla pesca all’agricoltura, agli agriturismi alla produzione olivicola, questa terra fa della sua semplicità e del rispetto per l’ambiente il suo punto di forza. Un gasdotto e tutte le sue implicazioni non fanno parte del futuro che gli abitanti dell’area stanno costruendo per i loro figli.